Le lesioni dei tessuti molli nei traumi degli arti | MEDICITALIA.it

2022-07-30 02:55:38 By : Mr. Leo Wang

Le lesioni delle parti molli oggi vengono trattate immediatamente in urgenza cercando di limitare al massimo l'uso successivo di lembi liberi microvascolari. La VAC ha assunto un ruolo di primo piano nel migliorare la prognosi.

Le lesioni delle parti molli nei traumi rappresentano un problema di grande importanza sia per il coinvolgimento degli aspetti funzionali e quindi della possibilità dell’arto colpito a ritornare abile per la vita quotidana e per il lavoro, sia per quanto attiene il loro peso nell’ influire sulle condizioni generali del paziente traumatizzato.

Se nel 1980 moriva il 7,3 % di traumatizzati per infezioni, ancora oggi nell’ 5,2 % dei casi la morte avviene per complicanze settiche, in gran parte insorte proprio su lesioni dei tessuti molli. Per queste ragioni, da sempre, le Societa’ mediche specialistiche che si interessano del Trauma rivolgono una grande attenzione a questo settore particolare.

In questi ultimi anni nuove tecniche e nuove metodologie hanno consentito di migliorare la gestione di queste lesioni sia per quanto riguarda il salvataggio vero e proprio degli arti colpiti, sia per quanto riguarda le modalita’ e i tempi di guarigione.

In questo Minforma presenteremo gli aspetti principali e quelli più innovativi che caratterizzano il moderno trattamento delle lesioni delle parti molli nei traumi degli arti

In primo luogo, gia’ sulla scena dove è avvenuto il trauma, si deve cercare di ottenere il maggior numero possibile di informazioni dal traumatizzato, se cosciente, oppure, successivamente, da parenti e conoscenti in grado di fornire informazioni utili ai medici curanti.

L’anamnesi è fondamentale per inquadrare le patologie pregresse o in atto, le possibili allergie, l’uso di farmaci, le abitudini e gli stili di vita. Tutte informazioni fondamentali per inquadrare correttamente il rischio all’interno del quale collocare il traumatizzato.

Valutazione del Rischio di complicanze

A) Esistono condizioni di rischio precedenti al trauma legate alle condizioni generali e locali del paziente che possono facilitare l’insorgenza di complicanze vascolari, neurologiche, settiche dei tessuti molli e, infine, necessariamente anche di consolidazione delle fratture.

B) Sono da valutare, inoltre, le condizioni di rischio intrinseche al trauma:

L’estensione e la gravita’ dei danni dei tessuti sono variabili in relazione a fattori meccanici e a fattori biologici, i quali, diversamente combinati a seconda dei casi, possono determinare la vita o la morte non solo dell’arto colpito, ma dello stesso paziente.

- Direzione della forza (pependicolare, assiale, rotazionale)

- Intensita’ della forza applicata (alta/bassa energia)

- Tipo di noxa (contusiva, penetrante)

- Estensione della superficie di contatto

- Grado di contaminazione della ferita

- Durata e natura dell’ischemia

- Ischemia periferica (danno locale: lesione arteriosa, lesione da schiacciamento)

- Condizioni generali e comorbidita’

Fino dal primo soccorso sul luogo dell’incidente è importante una corretta immobilizzazione degli arti che viene eseguita dagli operatori del 118 con splint/stecche e tutori pneumatici dedicati. E’ fondamentale garantire l’allineamento di massima dello scheletro, in tal modo si ottiene il contestuale riallineamento dei fasci neuro-vascolari (n-v)

Con l’immobilizzazione in stecca si consegue l’eliminazione/riduzione di ulteriori traumi sul fascio n-v consentendo il ripristino del normale circolo, almeno nei vasi intatti. Si somministra precocemente la terapia antibiotica prevista dal protocollo per le lesioni esposte degli arti.

All’arrivo in Pronto Soccorso, nel contesto delle procedure del protocollo ATLS (Advanced Trauma Life Support), si esegue una rapida valutazione delle condizioni dell’arto procedendo ad un primo lavaggio e disinfezione delle ferite (fig.1).

In sala operatoria si procede al trattamento delle lesioni dell’arto traumatizzato. In alcuni casi si potrà eseguire un’ osteosintesi definitiva con chiodi endomidollari, placche o viti percutanee (se il paziente è emodinamicamente stabile, in caso di lesioni ossee semplici con possibilità di copertura immediata delle perdite di sostanza, in assenza di altre lesioni nei distretti cranio-torace-addome da trattare chirurgicamente in urgenza).

In altri casi, dove altre procedure rianimatorie e/o chirurgiche si impongono per salvare la vita del traumatizzato, si procederà ad una osteosintesi provvisoria mediante stabilizzazione con Fissatore Esterno (FE), rinviando pertanto l’osteosintesi definitiva a quando le condizioni generali e/o locali del paziente lo consentiranno.

In entrambe le evenienze verra’ eseguita comunque e sempre come primo atto chirurgico una procedura di accuratissima pulizia e allontanamento dei detriti e di qualsiasi corpo estraneo visibile nelle ferite (debridement / fig 2).

Il debridement consiste in un lavaggio accurato e ripetuto dei tessuti lesi con abbondanti quantita’ di liquido (soluzione fisiologica sterile) accompagnato da una spazzolatura gentile con soluzioni saponose. Il meccanismo di pulizia prevede l’irrigazione con almeno 9-12 litri di soluzione per ogni ferita maggiore: lo scorrimento dell’acqua allontana la maggior parte della terra, asfalto, legno, metalli, vetro, sostanze tossiche che negli incidenti di strada, agricoli o di fabbrica possono contaminare le ferite.

La schiuma delle miscele saponose neutre utilizzate ha il ruolo invece di portare in superficie gli inquinanti e ridurre l’adesivita’ delle sostanze estranee che contaminano la ferita e, dunque, renderle disponibili al successivo allontanamento prodotto dall’irrigazione ripetuta.

Grazie a questa tecnica di lavaggio accurato è possibile ottenere ferite praticamente sterili, almeno per i tempi immediatamente successivi al lavaggio. E’ possibile, infatti, che, con il passare delle ore, nonostante l’esecuzione di un perfetto debridement, possano comparire focolai settici che in genere si manifestano su tessuti fortemente contusi/stirati e quindi in preda a crisi ischemiche con evoluzione in necrosi, terreno ideale per la crescita dei germi perche’ si tratta di ambienti poveri di ossigeno.

Una volta pulita la ferita, in primo luogo va fatta la classificazione delle lesioni. Per molti anni per l’inquadramento delle fratture esposte e delle lesioni delle parti molli associate si è utilizzata la classificazione di Gustilo-Anderson (GA) che suddivideva le fratture esposte in tre gruppi maggiori, in associazione a tre sottogruppi minori per il tipo C (Tab.1).

In tempi recenti si è visto che la classificazione di GA, messa a punto nel lontano 1984, essendo indirizzata soprattutto all’inquadramento prognostico della frattura, non consentiva, in realta’ una valutazione soddisfacente di queste lesioni complesse degli arti dove lo scheletro è solo una delle componenti coinvolti nel trauma.

Le lesioni di nervi, vasi, muscoli e soprattutto cute nel destino finale dell’arto hanno dimostrato in questi anni di avere un ruolo talmente importante che le Societa’ Europea Ortopedica e Traumatologica (Orthopaedic Trauma Association) ha recentemente proposto una nuova classificazione dove tutti questi tessuti sono presi in considerazione separatamente ed ognuno valutato su tre gradi (a,b,c) di entita’ della lesione assumendo a) come assenza di lesioni e c) il massimo della lesione per ogni tessuto o apparato (Tab.2).

Come si vede in questa classificazione dell’Orthopaedic Trauma Association il criterio di valutazione è addirittura capovolto rispetto alla classificazione di G.A.: prima si deve dare un punteggio alle lesioni delle parti molli e poi, solo alla fine, allo scheletro. In base alla classificazione si procedera’ quindi al trattamento che, come abbiamo visto, è gia’ iniziato con il debridement, il primo tempo chirurgico grazie al quale, per l’accurata pulizia, è possibile evidenziare tutte le strutture lese e la loro gravita’.

In condizioni di urgenza con il paziente in condizioni critiche si esegue il montaggio di un Fissatore Esterno, tecnica di rapida esecuzione e di basso impatto chirurgico.Vengono inserite per via percutanea nell’osso delle grosse viti (fiches) in acciaio prossimalmente e distalmente rispetto alla frattura/lussazione. Le fiches poi sono unite, tramite morsetti e snodi, da barre in alluminio o assi in carbonio registrabili con viti. In base al tipo di frattura e di lesioni associate sono possibili eseguire montaggi diversi essendo il F.E. un sistema geometrico molto versatile (figg. 3 e 4).

Quando possibile (paziente emodinamicamente stabile, assenza di necessita’ di altri gesti chirurgici salvavita su cranio/torace/addome, condizioni locali favorevoli) si esegue fissazione della frattura mediante osteosintesi interna. Di solito si preferisce utilizzare l’osteosintesi endomidollare con chiodi inseriti dentro il canale osseo senza alesaggio. In alcuni casi è possibile utilizzare anche placche o viti cannulate inserite per via percutanea.

Una volta ottenuta la stabilizzazione delle fratture si provvede alla copertura delle parti di osso rimaste esposte. In questi ultimi anni questo tempo chirurgico ha subito una vera e propria rivoluzione. Una volta si lasciava a lungo scoperto lo scheletro e con medicazioni ripetute si attendeva la pulizia definitiva del focolaio fino alla comparsa del tessuto di riparazione. I tempi erano lunghissimi: settimane o mesi. Oggi si cerca di coprire immediatamente l’osso esposto con tutto quello che si ha a disposizione: parti di muscolo, fascia fino alla cute, purchè continui e ben vascolarizzati e non infetti. Le tecniche sono tra le piu’ svariate sia in urgenza come in differita. In urgenza si ricorre a qualsiasi tecnica utile a coprire lo scheletro utilizzando i tessuti contigui. In differita, nei giorni successivi al ricovero, si utilizzano varie tecniche di approssimazione per avvicinare i lembi delle ferite (figg.5 e 6).

Da pochi anni sia in urgenza che in differita è stato introdotto un rivoluzionario sistema di drenaggio che, tramite una pompa in grado di creare una depressione accentuata, aspira tutte le secrezioni della ferita e facilita la rivascolarizzazione e ri-ossigenazione delle aree traumatizzate. In tal modo viene agevolata la crescita rapidissima di un tessuto di granulazione ipervascolarizzato grazie al quale è possibile ridurre ulteriormente l’area di esposizione, a volte annullandola, in virtù della crescita spontanea della cute contigua all'area granuleggiante.

Grazie alla VAC, infatti, oggi si assiste alla guarigione, una volta impossibile, di ampie perdite di tessuti molli o alla rapida crescita di un letto di tessuto sano e ben vascolarizzato dove adagiare gli innesti o i lembi indispensabili per una copertura cutanea definitiva. Ma è fondamentale ricordare che la VAC non sostituisce il debridement e, se necessario, la resezione dei tessuti necrotici che hanno sempre la precedenza.

La potenza della VAC nel favorire la formazione del tessuto di granulazione è tale che, in alcuni casi, dove il debridement non è stato adeguato e/o completo, è possibile assistere addirittura alla crescita di tessuto di granulazione su tessuti in necrosi o pesantemente coinvolti da fenomeni settici (figg. 7, 8, 9, 10). Il rischio è quello di avere tessuti granuleggianti nella sede della lesione in apparente guarigione, senza un miglioramento reale dello stato settico complessivo del paziente e neppure della lesione locale. Dunque: primum mundare, deinde aedificare!

L’insieme delle procedure descritte come trattamento antibiotico precoce, debridement accurato, copertura precoce delle aree esposte, stabilizzazione delle lesioni scheletriche, insieme alla applicazione della Pressione Negativa ai Tessuti (Tissue Negative Pression = TNP = VAC), contribuiscono nel rimuovere tutti quei fattori dell’infiammazione, radicali liberi e sostanze vasoattive che facilitano il danno cellulare locale e la morte dei tessuti (tab.3).

Se il metodo prevede la massima riduzione dell’infiammazione locale dei tessuti traumatizzati, l’obbiettivo finale che ci si propone è quello di coprire l’osso e ridurre il più possibile l’estensione dell’esposizione ossea e la perdita di sostanza dei tessuti molli cercando di evitare o ridurre al minimo il ricorso ad interventi di chirurgia plastica complessi basati su lembi liberi micro vascolari che richiedono tecniche sofisticate, non scevre di complicanze, e con tempi chirurgici lunga durata e con conseguente notevole impegno di risorse in sala operatoria.

Recentemente una sorta di “rivoluzione” della gestione delle fratture esposte e delle lesioni dei tessuti molli, grazie alla fortissima spinta alla copertura immediata delle lesioni scheletriche da parte dei Trauma Center, ha portato ad una sorta di mutazione della classica figura del chirurgo ortopedico che, da operatore esclusivo dei tessuti duri, è diventato, per necessita’, anche chirurgo plastico dei tessuti molli traumatizzati. Mutazione tanto evidente da vedere la nascita, in ambiente anglosassone, di un nuovo termine per descrivere questo nuovo professionista del Trauma: “l’ortoplastico”.

In questa innovativa visione di nuove procedure, tecniche e figure professionali è stata messa a punto anche una sorta di “’scala” delle opzioni plastiche da utilizzare come armamentario disponibile per l”ortoplastico” (tab.4).

Alla base della scala si trovano le tecniche piu’ semplici come le suture dirette delle lesioni con guarigione per prima intenzione, per passare poi in progressione alle chiusure differite, alla VAC, agli innesti semplici di cute, ai lembi locali, quelli regionali. Alla sommita’ troveremo le tecniche più complesse come i lembi distanti dalla lesione e quelli liberi (che richiedono una sutura microvascolare), procedure che in urgenza, per complessita’ e durata, non e‘ possibile eseguire e che verranno pertanto affidati al chirurgo plastico in tempi successivi a malato stabilizzato e condizioni locali favorevoli per l’attecchimento degli innesti.

Il trattamento delle lesioni da trauma delle parti molli è oggi molto sofisticato grazie ad una grande esperienza maturata sui campi di battaglia nelle due guerre mondiali, passando per la guerra in Corea e in particolare in seguito a quella del Vietnam che ha visto la nascita del Register of Trauma e il sorgere degli Ospedali avanzati posizionati subito dietro le linee (M.A.S.H.). Questa esperienza è stata successivamente affinata nei Trauma Center di tutto il mondo per la grande guerra che, in tutti i Paesi “civili”, si combatte ogni anno a causa degli incidenti stradali e degli incidenti negli ambienti di lavoro. In Italia queste esperienze sono presenti, ma non sono ancora diffuse come sarebbe necessario.

Occorre una cultura del Trauma che preveda la formazione di Operatori con elevati livelli standardizzati di competenze e una Rete di Ospedali fondata su Centri HUB (Trauma Center/ Spine Unit in grado di garantire il trattamento completo di tutte le lesioni maggiori e delle loro complicanze) insieme a Centri in periferia SPOKE (in grado di eseguire il Trauma Damage control delle lesioni maggiori prima di inviarle all’Ospedale HUB) armoniosamente collegati da un servizio 118 efficiente. In questa Rete, le moderne procedure d’inquadramento e riduzione del rischio, la classificazione completa delle lesioni, il trattamento precoce con antibiotici, il debridement accurato, l’osteosintesi scheletrica “stabile” e la copertura immediata delle esposizioni, nonchè la riduzione delle perdite di sostanza sulla base di una scala di procedure razionali affidate all’ “ortoplastico” e al chirurgo plastico, oggi si impongono anche in Italia come il “golden standard”.

Le prospettive future prevedono ulteriori miglioramenti tra cui la “cute artificiale” nuovo prodotto rivoluzionario con cui si possono coprire in via provvisoria da subito anche estese perdite di sostanza, in attesa della stabilizzazione delle condizioni generali e di quelle locali del traumatizzato. Soprattutto, servono, però, Team dedicati al Trauma. Si tratta di Sistemi Organizzativi complessi dotati di materiali e mezzi dal costo elevato, del resto gia’ in uso da tempo in altri Paesi occidentali.

Per ottenere questi “standard” servono, dunque, risorse ed investimenti che attualmente ci vengono negati. Il SSN è una risorsa di tutto il Paese, aiutateci a difenderlo. Domani, nella vostra Regione, potreste avere necessita’ di ricorrere ad un Trauma Center ed ad un Trauma Team competente ed efficiente. Non dimenticatelo.

Aiutateci ad aiutarvi: le vostre ferite guariranno meglio e piu’ rapidamente. Il nostro lavoro, mortificato dai tagli assurdi alla Salute pubblica, pure.

Se dovesse capitare malauguratamente di essere portati in Pronto Soccorso privi di conoscenza e nell’impossibilita’ di comunicare con i medici che vi assistono…

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1978 presso Università Cattolica del S. Cuore. Iscritto all'Ordine dei Medici di Roma tesserino n° 34117.

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