Vale la pena correre i rischi delle centrali atomiche? - la Repubblica

2022-08-20 03:36:04 By : Archer Tan

Per quale energia optare? Possiamo scegliere: la biomassa, ma è poco ecologica; il sole, ma è capriccioso; il vento, pure. Oppure... l’energia dell’atomo. Intervista a Adam Rajewski dell’Istituto di Energia Termica della Facoltà di Ingegneria Meccanica e Aeronautica del Politecnico di Varsavia   (Gazeta Wyborcza) Questo contenuto fa parte della newsletter Continental Breakfast, una selezione di articoli pubblicati dall'alleanza LENA (Leading European Newspaper Alliance). Per vedere un'anteprima potete cliccare qui / Per iscrivervi e riceverla ogni settimana sulla vostra casella di posta elettronica cliccate qui

Il mondo sta abbandonando l’energia atomica: vero o falso? “Non mi sembra di assistere a un netto abbandono dell’atomo, anche se ci sono casi di paesi come la Germania che stanno rinunciando a questa energia. Ma ce ne sono anche altri che la sviluppano intensamente, pensiamo alla Cina o all’India. In Europa, la Repubblica Ceca, la Finlandia, la Romania e i Paesi Bassi progettano di costruire centrali atomiche, mentre la maggior parte dei paesi fa di tutto per evitare di prendere delle decisioni. Alcuni sono più scettici rispetto a questo tipo di energia, altri meno, ma mi sembra di vedere una chiara tendenza a rimettere le decisioni a chi verrà dopo”.

Per quale ragione? “Perché l’energia atomica è un argomento socialmente difficile, quindi se non si è costretti è meglio non toccarlo. Inoltre, si tratta di un investimento grande e complicato, tutt’altro che economico, quindi non del tutto in linea con le tendenze attuali”.

Quali tendenze? “Mi riferisco alla concorrenza sul mercato energetico, al valore di un megawattora, alle limitazioni del sostegno statale alle nuove centrali atomiche. I grandi investimenti che vengono ammortizzati sul lungo periodo sono difficili da realizzare. D’altro canto la tecnologia nucleare invecchia lentamente, il che rende possibile prolungare il funzionamento di impianti nucleari obsoleti. In questo modo i politici possono facilmente girare ad altri la patata bollente: siano i posteri a decidere sul futuro dell’energia atomica”.

Anche noi polacchi possiamo permetterci di indugiare? “Direi di no. Dobbiamo limitare drasticamente le emissioni di gas serra il prima possibile per arrestare i disastrosi cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo. Inoltre, il nostro sistema energetico basato sul carbone è obsoleto, perde letteralmente i pezzi e dovrà essere presto sostituito con qualcos’altro. Quando parliamo di produzione di energia a emissioni zero, abbiamo due strumenti a nostra disposizione. E non mi riferisco solo alla Polonia, ma al mondo intero. L’alternativa è tra le fonti rinnovabili e l’energia nucleare. Sostanzialmente ci troviamo di fronte alla domanda: le sole fonti rinnovabili possono bastare? Alle condizioni tecnologiche attuali, siamo in grado di decarbonizzare radicalmente l’economia polacca ricorrendo al fotovoltaico o alle turbine eoliche?”.

Ecco, siamo in grado? “In teoria sì, in pratica è qualcosa di molto difficile. Prima di tutto perché bisognerebbe iperpotenziare le rinnovabili”.

Che cosa significa? “Puntare all’accumulo di un’enorme quantità di potenza, poter produrre una grande massa di energia nei momenti favorevoli, ovvero quando il sole splende e il vento soffia. Questo per poter disporre del surplus necessario per i periodi in cui queste fonti assicurano meno energia. In secondo luogo, deve essere risolto il problema di come immagazzinare questo surplus. A dire il vero disponiamo già di tecnologie che consentono lo stoccaggio di grandi quantità di energia, ma questo funziona per ora solo sulla carta. In realtà questi sistemi non sono disponibili su scala industriale, non sono stati messi a punto. Non si tratta di cose che si possano semplicemente prendere e comprare”.

Vuol dire che non siamo in grado di basare l’industria energetica solo sulle fonti rinnovabili? “La Polonia non ce la farebbe mai. Sfortunatamente non siamo la Norvegia che può essere alimentata praticamente al 100% dall’energia idroelettrica. Sarebbe sciocco costruire una centrale nucleare in quel paese. Nella nostra realtà polacca sono disponibili su larga scala solo due o al massimo tre fonti rinnovabili: il vento, l’energia solare e forse la biomassa, che tuttavia è controversa”.

Perché? “Perché vale la pena sapere cosa viene bruciato nelle grandi centrali elettriche. Per esempio in Gran Bretagna si sta bruciando un bosco americano trasportato attraverso mezzo mondo. I terreni incolti sono spesso impiegati per le piantagioni di biomasse. Sembra un fatto innocente, ma non se pensiamo che i terreni incolti sono di solito le ultime aree in cui si trova la vita allo stato selvaggio. Se escludiamo dunque la biomassa, ci rimangono il vento e il sole, fonti energetiche piuttosto capricciose. In Polonia scarseggiano proprio nei periodi in cui fabbisogno di energia è maggiore, per esempio ora quando fa ancora freddo e le giornate sono relativamente corte. In questi periodi di maggiore fabbisogno dove andremo a prendere l’energia necessaria al sistema? Se il problema dell’immagazzinamento non viene risolto una volta per tutte, non ci resta che usare il gas naturale, che è politicamente problematico. Ma il vero problema è che non siamo molto abili a immagazzinare l’energia elettrica. Fino a poco tempo fa, le centrali elettriche di pompaggio costituivano l’unico metodo pratico per lo stoccaggio dell’energia elettrica. Ora, è possibile realizzarne alcune, a condizione di avere le condizioni geografiche adatte, ma questo non è comunque sufficiente”.

Si dice che in futuro potremo immagazzinare energia nell’idrogeno. Quando avremo energia in eccesso dalla luce solare e dal vento, produrremo idrogeno dall’acqua. E così quando avremo bisogno di energia, bruceremo quel gas. “L’idrogeno risolverebbe il problema e inoltre lo farebbe in modo pulito, poiché la sua combustione non comporta eccessive emissioni di composti nocivi nell’atmosfera. Va solo considerato l’ossido di azoto, perché se si brucia qualcosa nell’aria non lo si può evitare. Ma l’idrogeno comporta due problemi. Il primo è che i processi attraverso cui l’energia viene immagazzinata nell’idrogeno e poi recuperata sono scarsamente efficienti. Questo significa che comportano la perdita di una quantità importante di energia. Nella migliore delle ipotesi ne recupereremo poco più del 40% e nella peggiore circa il 20%. Il surplus di energia rinnovabile dovrebbe essere colossale perché un sistema basato sull’idrogeno possa davvero funzionare”.

E il secondo problema? “Una vecchia barzelletta dell’epoca comunista diceva se avessimo lamiera produrremmo delle conserve, peccato che non abbiamo la carne. Ecco, ora come ora, non esiste una tecnologia per produrre idrogeno su scala industriale dall’energia elettrica in eccesso. Senza contare che non disponiamo ancora di una tecnologia di stoccaggio dell’idrogeno su larga scala”.

Allora i problemi sono tre! “Lavoriamo da anni allo stoccaggio dell’idrogeno. Lo si può immagazzinare allo stato compresso, liquido o in idruri metallici, ma non esiste ancora una tecnologia matura. E un’altra cosa che non possediamo è la tecnologia necessaria a riconvertire l’idrogeno in elettricità. Esistono dei prototipi, certo, l’azienda per la quale lavoro al di fuori dell’università si occupa, tra le altre cose, anche di questo. Molte aziende annunciano di esserci quasi arrivate, ma tra questo 'quasi' alla soluzione su cui si potrebbe fondare la politica energetica di un intero paese la strada è ancora lunga. Una soluzione potrebbero essere le pile a combustibile già utilizzate sulle navicelle spaziali delle missioni Apollo, dove l’idrogeno e l’ossigeno venivano usati per produrre energia. La soluzione era quindi dietro l’angolo già negli anni Sessanta, ma le tecnologie nel frattempo non sono maturate al punto da rendere possibile una loro applicazione su larga scala”.

Ma questo cambierà? “Lo spero sinceramente, perché con o senza l’atomo, avremo comunque bisogno delle tecnologie dell’idrogeno, ad esempio per eliminare un giorno ciò che resterà del gas naturale nel bilancio energetico. Ma è difficile dire quando ciò accadrà... insomma, non ci si può basare su previsioni approssimative, è un approccio troppo rischioso. Se infatti nei prossimi 10-20 anni pianificassimo e costruissimo un sistema energetico con una quota molto ampia di fonti rinnovabili, ma senza disporre di innovative tecniche per lo stoccaggio dell’energia, allora saremmo comunque costretti a comprare gas naturale. E questo per la Polonia significherebbe la dipendenza dalle forniture russe. Se invece puntassimo a un sistema poggiante sull’energia atomica potremmo contare su una certa quota costante di energia pulita, indipendentemente da ciò che accadrà fuori dalla finestra, se soffierà il vento o splenderà il sole. Voglio dire che aprire all’atomo non significherebbe rinunciare alle turbine eoliche o il fotovoltaico. Semplicemente ogni fonte di energia ha i suoi limiti. La politica energetica di uno stato razionale dovrebbe consistere nel combinare queste diverse fonti nella maniera ottimale. L’obiettivo non è costruire centrali nucleari o aumentare la quota di fonti rinnovabili. L’obiettivo è ridurre le emissioni di CO2. Al clima non importa niente quali sono le fonti che utilizziamo. Quello che conta solo i risultati in termini di emissioni”.

E dove verrebbe costruita una centrale atomica in Polonia? “Questo più o meno si sa già. Abbiamo la possibilità di scegliere tra due localizzazioni, una vicina all’altra, vicino a Zarnowiec, in Pomerania. Grosso modo nello stesso sito in cui venne iniziata la costruzione della prima centrale atomica polacca negli anni Ottanta. Non credo che si possa prescindere da questo luogo: le indagini ambientali e i lavori preliminari sono già stati in larga parte realizzati. Individuare un altro luogo significherebbe ulteriori anni di ritardo. Inoltre ora in quei luoghi l’opinione pubblica è favorevole a questa tecnologia: la gente del posto desidera questo investimento. Gli abitanti ricordano ancora il cantiere di Zarnowiec, la scossa che ha dato all’economia e la catastrofe rappresentata dalla rinuncia a quel progetto e dall’interruzione dei lavori. Senza contare che la Polonia ha bisogno di fonti energetiche a nord”.

E le altre centrali atomiche dove sorgerebbero? “Dovremmo puntare sui luoghi in cui si trovano già grandi centrali termoelettriche a lignite, come per esempio Belchatów. Il nostro sistema è già impostato per avere là la sua fonte di energia. E questo sarebbe anche vantaggioso per la comunità locale che di fatto è dipendente dal settore energetico. Oggi come oggi le miniere di carbone e le centrali termoelettriche danno lavoro a migliaia di persone, pagano tasse enormi, e i comuni su cui sorgono sono tra i più ricchi della Polonia”.

Sarà possibile in quei luoghi assicurare alle centrali nucleari l’adeguato raffreddamento? Questo rappresenta un problema nell’era del riscaldamento globale, in quelle aree le miniere a cielo aperto hanno già drenato le acque. “Ogni centrale termica deve essere raffreddata, a prescindere dalla sua tipologia. Per quanto una centrale nucleare abbia senz’altro bisogno di un po’ più di acqua rispetto ad una a lignite. Per esempio, la centrale di Belchatów ha una potenza di 5 gigawatt, per cui possiamo tranquillamente immaginare una centrale termonucleare da 3 gigawatt nello stesso luogo. Ad ogni modo, sono sorti molti miti sul tema del raffreddamento. Non è che se si mette a far caldo o non c’è acqua, non sia possibile raffreddare. Una centrale nucleare può anche essere raffreddata ad aria. È un sistema meno efficace, ma comunque possibile”.

Allora perché ultimamente si sente dire sempre più spesso, anche riguardo alle centrali a carbone, che quando fa caldo non possono funzionare? “Una centrale può funzionare anche se l’acqua del lago o del fiume si riscalda fino a 90 gradi”.

Allora di che si tratta? “Si tratta del fatto che una centrale non dovrebbe versare acqua troppo calda nei fiumi per non danneggiare la fauna. Il secondo problema è l’utilizzo idrico. Se il flusso è troppo basso, la centrale potrebbe avere necessità di prelevare una tale quantità d’acqua dal fiume da compromettere il suo ecosistema. Si tratta di problemi che già presentano le centrali elettriche esistenti, progettate mezzo secolo fa. Ovviamente a quei tempi si teneva conto del fatto che di tanto in tanto si sarebbero verificate giornate talmente calde da imporre la chiusura temporanea degli impianti. È comunque anche vero che queste condizioni stanno diventando sempre più frequenti. Costruendo una nuova centrale starà al buon senso dei progettisti prendere in considerazione questi cambiamenti”.

E la sicurezza? Tutti si ricordano di Cernobyl, di Fukushima. “Non esistono centrali elettriche dove non si verifichino dei guasti. Il fatto è che quando ciò accade nelle centrali nucleari i media intervengono subito in toni molto allarmistici. Per esempio, ultimamente in una centrale elettrica bielorussa si è guastato un trasformatore. Un guasto quindi che non aveva nulla a che fare con il reattore nucleare, ma ciò è bastato perché i titoli dei giornali lanciassero l’allarme del guasto in una centrale nucleare... È fisicamente impossibile che possa ripetersi quello che è successo a Cernobyl in un qualsiasi reattore mai costruito in un paese dell’Unione europea. Anche quello che è accaduto a Fukushima non è più possibile. In Giappone, il guasto è stato il risultato di una eccezionale catastrofe naturale, un terremoto a cui è seguito uno tsunami. In Polonia, questi fenomeni sarebbero inauditi. Ciò nonostante tutti i nuovi reattori nucleari sono progettati per far fronte anche a situazioni come quella verificatasi a Fukushima”.

Ovvero quale? Potrebbe ricordare che cosa è successo? “A Fukushima si è verificata l’impossibilità di raffreddare il reattore ormai spento quando lo tsunami ha allagato la centrale. I reattori moderni sono in grado di raffreddarsi per diverse ore senza bisogno di elettricità. Non solo senza alimentazione esterna, ma anche nel caso in cui si spengano i generatori di energia di emergenza. Ad esempio, il reattore americano AP1000 (uno di quelli che potrebbero essere costruiti in Polonia) può raffreddarsi da solo in 72 ore utilizzando i processi di convezione naturale e una certa quantità di acqua immagazzinata nella sede del reattore. Se, dopo tre giorni, il guasto non è stato ancora rimosso, è necessario soltanto rabboccare l’acqua. Non solo: se per qualche motivo si verificasse comunque un surriscaldamento e venisse rilasciato dell’idrogeno, non si arriverà a una esplosione come a Fukushima, perché questo idrogeno verrà ricombinato con l’ossigeno. A Fukushima questi sistemi erano già istallati, ma per funzionare necessitavano di energia elettrica. Nelle centrali atomiche di nuova generazione non è più necessaria. Se da ultimo dovesse verificarsi la fusione del combustibile esso scorrerà in un luogo speciale e non fuoriuscirà dal reattore”.

Sì, però la sicurezza al 100% non ce l’abbiamo... “Ma quella non ce l’avremo mai. Stiamo comunque parlando di una delle costruzioni più sicure mai ideate dall’uomo. Le centrali idroelettriche hanno causato disastri molto peggiori di Cernobyl e Fukushima messe insieme. Nel 1975 nel disastro della diga di Banqiao in Cina morirono fino a 200.000 persone (ancora oggi non sappiamo esattamente quante). In Russia, una turbina idraulica è volata contro un edificio uccidendo alcune decine di persone. O pensiamo solo al disastro del Vajont in Italia, quando una frana è precipitata nel lago artificiale, facendo traboccare l’acqua dalla diga e provocando quasi duemila vittime e moltissimi dispersi. Eppure non siamo qui a chiedere lo smantellamento di tutte le dighe nel mondo”.

Ma siamo davvero in grado di costruire una centrale nucleare secondo tutti i crismi dell’ingegneria moderna? Una struttura affidabile? Mi preoccupa un po’ il pressappochismo polacco. “Capisco bene queste paure, del resto vivo anche io in Polonia. Ma nell’ambito del nucleare c’è una supervisione internazionale, uno scambio di esperienze, strutture standardizzate. Senza contare che queste costruzioni sono realizzate in modo tale da poter fronteggiare i guasti e gli errori umani”. 

E il pericolo di una minaccia esterna? Mi riferisco ai terroristi. “Ripeto: le centrali atomiche sono tra le costruzioni più sicure mai ideate dall’uomo. Questa sicurezza è garantita dalla fisica stessa: una moderna centrale atomica non può essere semplicemente guastata, anche se l’operatore che la gestisce volesse deliberatamente causare una catastrofe. Prendere il controllo di una centrale, mettere le mani sul pannello dei suoi comandi, non consente di causare un disastro paragonabile a quello di Cernobyl o di Fukushima”.

E per quale ragione? “Perché una centrale atomica possiede molti sistemi ideati per ovviare ai guasti critici. Ad esempio, i sistemi di raffreddamento sono passivi, ovvero non richiedono l’intervento umano o l’alimentazione esterna. Funzionano da soli perché si basano su processi fisici che avvengono autonomamente. È impossibile manipolare la convezione naturale attraverso cui avviene lo scambio termico. Inoltre è difficile hackerare i sistemi informatici della centrale, perché si basano su una rete interna. Negli Stati Uniti le centrali nucleari sono così isolate che non sono in grado di reagire ad alcun segnale proveniente dall’esterno. Per questo lavorano in maniera perfettamente uniforme e regolare, sempre alla stessa intensità, senza reagire alle cadute di potenza del sistema energetico. Anche un segnale sulla diminuzione della richiesta di potenza è un segnale che procede dall’esterno”.

E che succederebbe in caso di attentato terroristico? “È senz’altro possibile condurre a un arresto non pianificato della centrale atomica, ma una cosa del genere può avvenire con qualsiasi centrale elettrica. Non è neppure necessario entrare, basta far saltare in aria la linea elettrica che esce dalla centrale per immettere energia nel sistema. Gli americani lo fecero nel 1999 in Jugoslavia, sganciando bombe a grafite sulla rete elettrica e portando a cortocircuiti. Ma attaccare una centrale nucleare è qualcosa di molto difficile. Una volta gli attivisti di Greenpeace hanno fatto irruzione nell’edificio del reattore. E allora? Non si può fare nulla a un reattore attaccandolo dall’esterno, anche se ci si schiantasse un aereo il reattore resisterebbe. Perché questo è uno dei criteri di progettazione. Un uomo con una bomba può farsi esplodere sotto il reattore: lui morirà, ma al reattore non succederebbe nulla. Riuscire ad accedere all’interno del reattore è un’altra questione. Anzitutto è difficilissimo. Ho visitato in molte occasioni diversi reattori nucleari in Europa. Prima di tutto il controspionaggio monitora sempre gli ospiti, controllando chi viene e per cosa viene. Nelle due centrali elettronucleari del Belgio ci sono diversi punti di sbarramento dove è necessario identificarsi per procedere. Una delle procedure di sicurezza prevede la pesatura degli ospiti: quando si supera un punto di sbarramento si verifica che il peso del visitatore non sia cambiato rispetto a quello rilevato in precedenza. Questo per sincerarsi che l’ospite non provi a portarsi via un souvenir o non si lasci dietro niente. Una volta c’era una gita scolastica, pioveva. Una ragazzina era bagnata fradicia, i suoi jeans erano inzuppati d’acqua. Il sistema ha rilevato l’aumento di peso e la ragazza è rimasta intrappolata in uno dei punti di sbarramento. Il sistema aveva bloccato le porte. Sono dovuti intervenire gli antiterroristi per tirarla fuori da lì. Perché così prevedono le procedure. Ovviamente si tratta di aneddoti. Ma anche se una persona male intenzionata riuscisse mai ad entrare, dovrebbe sapere quali sistemi disabilitare, quali cavi tagliare per causare un guasto che minacciasse seriamente il reattore. Anche in quel caso si tratterebbe di procedure lunghe, che richiederebbero diverse ore di lavoro. In nessun reattore attualmente in costruzione è possibile indurre deliberatamente una sequenza di reazioni così rapida e distruttiva come è accaduto Cernobyl. Qualsiasi situazione imprevista che turbi l’equilibrio del reattore porterà al suo automatico spegnimento e all’avviamento immediato del processo di raffreddamento. Se pianificassi un attacco terroristico con qualcosa di radioattivo, non sceglierei mai una centrale atomica, ma luoghi meno protetti, come ospedali o cantieri. Si sono già verificati furti di materiali radioattivi da simili luoghi”.

Torniamo a parlare di questioni più ordinarie. Dove lo prendiamo il combustibile? In Polonia non abbiamo l’uranio. “Non certo in giacimenti il cui sfruttamento sarebbe redditizio. Il carburante si ottiene in più fasi: l’uranio deve essere acquistato e poi arricchito, devono essere prodotti gli elementi combustibili. Tutto questo va fatto separatamente o, per così dire, acquistando tutto in un unico pacchetto. I maggiori fornitori di uranio del mondo sono l’Australia e il Canada, ovvero paesi politicamente molto stabili, democratici, il che contrasta con il luogo di origine della fonte energetica concorrenziale, ovvero il gas naturale. Il servizio di produzione del carburante può essere acquistato anche da altri paesi che non sono minacciati da rivoluzioni o improvvisi rivolgimenti politici, paesi con cui ci si può mettere d’accordo a condizioni civili. Se decideremo per esempio di istallare in Polonia un reattore francese, allora con ogni probabilità compreremo il carburante dalla Francia. Gli americani hanno i loro stabilimenti in Svezia. E ci sono ancora molte altre opzioni. Un altro aspetto importante è la possibilità di fare scorta di combustibile nucleare per diversi anni”.

Non c’è il rischio che i prezzi crescano a dismisura? “Questo è un altro vantaggio dell’energia nucleare. Il prezzo del carburante può variare, come tutto del resto, ma questa oscillazione non ha una grande importanza perché costituisce solo tra il dieci e il venti per cento del prezzo dell’elettricità prodotta da una centrale atomica. La maggior parte del prezzo è direttamente correlata ai costi di costruzione della centrale stessa. Nel caso dell’energia idroelettrica il discorso è analogo: praticamente l’intero costo è legato alla costruzione, e dopo si tratta unicamente delle spese correnti legate allo sfruttamento della centrale. Con il gas accade esattamente l’opposto, perché le centrali termoelettriche a gas sono relativamente più economiche da costruire, ma il loro carburante è il più costoso che c’è, senza contare che proviene da paesi politicamente incerti ed è difficile da immagazzinare su larga scala”.

E le scorie radioattive? Costituiranno una minaccia per migliaia di anni a venire. “Si tratta comunque di quantità minime di scorie. Un reattore produrrà circa 30 tonnellate di combustibile esaurito all’anno. Si tratta di quanto può trasportato da alcuni camion. Molto di meno rispetto ai rifiuti prodotti dalle centrali elettriche che utilizzano combustibili fossili. Consideriamo che ogni anno la centrale a carbone di Belchatów emette oltre a 30 milioni di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera! Dall’inizio della sua attività nel 1982 fino al 2017, la miniera di Belchatów ha estratto 1,17 miliardi di tonnellate di lignite, e per arrivare ad ottenere questa enorme quantità di combustibile è stato necessario estrarre anche 4,5 miliardi di overburden e realizzare un buco colossale nel terreno. Convengo, i rifiuti radioattivi sono piuttosto spaventosi, ma è sufficiente metterli in sicurezza isolandoli sotto uno strato di diverse dozzine di centimetri di cemento. Paradossalmente è proprio questa semplicità a costituire un problema...”.

In che senso? “Perché lo stoccaggio temporaneo del carburante esaurito è così semplice e poco problematico che abbiamo di nuovo a che fare con il differimento di una soluzione definitiva. Nessuno (beh, quasi nessuno, a parte i finlandesi) ha fretta di risolvere il problema una volta per tutte e costruire il deposito adatto per lo stoccaggio finale delle scorie”.

E ora dove vengono immagazzinate le scorie? “Principalmente nelle stesse centrali atomiche, dove per adesso non hanno dato fastidio a nessuno, o forse solo agli attivisti antinucleari. Ci sono paesi che già dispongono di depositi centrali per le scorie: in Svizzera per esempio è stato costruito un enorme magazzino dove sono stoccati i container con i rifiuti radioattivi. Un piccolo gruppo di paesi, principalmente la Francia, ricorre al riprocessamento del combustibile nucleare esaurito, recuperando così gli isotopi fissili, di cui restano quantità importanti che possono venire impiegate per la produzione di nuovo combustibile. Inoltre, suddivide le scorie radioattive tra quelle meno pericolose e quelle altamente attive con un lunghissimo periodo di decadenza. In questo modo è possibile ridurre di circa dieci volte il volume di ciò che dovrà poi essere interrato e messo in sicurezza per migliaia di anni”.

E dove andranno interrate le scorie? “Oggi come oggi gli scienziati raccomandano di rinchiuderle in cappe di cemento e collocarle in profondità in formazioni rocciose geologicamente stabili e lontano dalle possibili infiltrazioni d’acqua. In ogni caso questi involucri sono progettati in modo tale che, se anche l’acqua dovesse mai penetrarvi, il periodo di tempo necessario all’acqua contaminata per raggiungere la superficie sarebbe ancora abbastanza lungo da consentire la decadenza della maggior parte delle sostanze radioattive. Sappiamo dalle nostre osservazioni della natura che tali rifiuti possono tranquillamente giacere nel sottosuolo: nello stato africano del Gabon, miliardi di anni fa, come risultato del caso e di naturali processi geologici, nel deposito minerario di uranio si è creato una specie di reattore nucleare naturale. Iniziarono a verificarsi reazioni di fissione dell’uranio e poi il ‘combustibile esaurito’ è rimasto imprigionato nel sottosuolo per migliaia di anni. Sulla base dello studio di questo luogo, sappiamo grosso modo come avviene lo stoccaggio delle scorie nel lunghissimo periodo. Per il momento, tuttavia, l’unico deposito quasi pronto per lo stoccaggio delle scorie nucleari si trova in Finlandia. Deve ricevere il primo carico di combustibile esaurito nel 2023. Diversi altri paesi hanno piani avanzati per la realizzazione di siti simili”.

E la Polonia? “Se entreremo a far parte del club dei paesi che sfruttano l’energia atomica, varrà la pena essere responsabili di ciò che faremo. Allora bisognerà progettare e costruire al più presto un deposito di scorie radioattive. Certo, è possibile posticipare la decisione di almeno mezzo secolo, perché i rifiuti aumenteranno molto lentamente. Ma consideriamo che in Polonia abbiamo già dei depositi temporanei di scorie radioattive prodotte dall’industria e dal settore medico”.

Perché non li mandiamo ai finlandesi perché se ne occupino loro? “La regola è che i rifiuti vengono stoccati dal paese che li ha prodotti. Ovviamente ci sono delle eccezioni, ad esempio la Russia accetta i rifiuti dai paesi a cui ha fornito il carburante. Questo è avvenuto nel caso della centrale nucleare di Kozloduj in Bulgaria. A volte un servizio di trattamento dei rifiuti radioattivi viene commissionato a un’azienda di un altro paese. I francesi offrono questo tipo di servizio. Questo tipo di situazione ha già causato delle incomprensioni in passato. Una volta i media tedeschi hanno cominciato a pubblicare degli articoli piuttosto allarmati secondo cui le scorie radioattive francesi erano destinate alla Germania. Invece avveniva proprio il contrario: il combustibile esaurito delle centrali atomiche tedesche veniva mandato in Francia per essere classificato e segregato in frazioni più e meno radioattive, quindi veniva restituito al sito di stoccaggio finale in Germania”.

Un altro problema è lo smantellamento di una centrale nucleare, un fatto presto o tardi inevitabile. Si tratta di costi giganteschi. “Si tratta di un costo enorme se lo si concepisce come una cifra assoluta, parliamo di diversi miliardi di zloty. Se tuttavia lo riconduciamo alla quantità di energia elettrica che la centrale produrrà nel suo intero ciclo vitale, allora risulta che stiamo parlando di un costo dell’ordine di una manciata di zloty per ogni megawattora, alle condizioni attuali di mercato circa 200 zloty. Lo stesso discorso vale per i costi di stoccaggio dei rifiuti. Di solito vengono indicati in una cifra assoluta, ma occorre ricordare che in realtà costituiscono solo una piccola frazione del costo complessivo dell’energia prodotta”.

Ma bisognerà smantellare l’edificio radioattivo... “Alcuni degli elementi posti vicino al reattore, i componenti in acciaio o cemento, diventano effettivamente radioattivi perché sono attivati dal flusso dei neutroni. Questo problema può essere affrontato in due modi. Il primo smantellando la centrale il più rapidamente possibile e seminando dell’erba al suo posto. Una soluzione che si presenta bene, ma risulta più costosa perché lo smantellamento deve essere effettuato sotto supervisione radiologica e successivamente l’acciaio radioattivo va stoccato come scoria. Si tratta di un rifiuto radioattivo a bassa attività, quindi di breve durata, ma parliamo pur sempre di radioattività. Oltretutto la questione è spesso resa più complicata da regolamenti assurdi, ad esempio in Europa norme diverse definiscono quanto possa diventare radioattivo l’acciaio prodotto dallo smantellamento di una centrale nucleare, rispetto all’acciaio proveniente dallo smontaggio di una centrale a gas. Infatti anche quest’ultimo risulta radioattivo in quanto vi si formano isotopi di polonio”.

Di polonio? “Stiamo ovviamente parlando di quantità del tutto innocue per l’uomo. Si tratta solo di una curiosità, diciamo di un paradosso: le norme per misurare la radioattività dei materiali provenienti dalle centrali a gas sono molto meno severe rispetto a quelle adottate per le centrali atomiche. Esiste anche una seconda concezione per lo smantellamento degli impianti nucleari, ed è quella impiegata ad esempio negli Stati Uniti. Secondo quest’altra scuola, non c’è fretta, ci si può prendere tutto il tempo necessario per lo smantellamento, si aspetta che il materiale smetta di irradiare, perché il tempo di dimezzamento degli isotopi che si formano nell’acciaio è ridotto a pochi anni. Quindi è sufficiente aspettare 10-20 anni e lo smantellamento sarà molto più economico. Alla fine si tratta di decisioni politiche. Alcune di queste strutture sono già state smantellate nel mondo e abbiamo molta esperienza”.

Secondo lei perché i verdi sono così contrari all’energia nucleare? “Non lo so. Questa domanda riguarda la psicologia e la sociologia piuttosto che la tecnica o la scienza. Se devo esprimere il mio giudizio sulla base di argomentazioni razionali, l’energia atomica è più pulita del carbone e del gas. I verdi finlandesi probabilmente lo hanno capito, perché da qualche tempo hanno smesso di opporsi al nucleare”.

Allora da dove nasce l’avversione al nucleare della società austriaca o tedesca? “Forse dal fatto che la tecnologia nucleare viene associata con le sue applicazioni militari? Certamente la paura dei disastri gioca un ruolo fondamentale. I dibattiti della sinistra sul tema a volte presentano un’argomentazione scorretta, il che mi ferisce perché personalmente mi identifico con questa parte politica. Si tratta del fatto che l’atomo venga spesso associato con le grandi multinazionali, con l’industria, il capitale e concepito in contrapposizione alle fonti rinnovabili, alla cosiddetta energia civile. Ma questa è un’immagine in gran parte sbagliata, perché se da un lato è vero che abbiamo molti impianti fotovoltaici domestici, è altrettanto vero che la maggior parte degli investimenti nelle fonti rinnovabili sono realizzati dalle grandi aziende, dalle multinazionali. I parchi eolici costieri con una capacità di 300-400 megawatt costituiscono investimenti enormi che non vengono realizzati certo da cooperative, comuni o da organi di autogestione civile. Non solo, le aziende che producono queste turbine fanno parte di grandi consorzi. Non di rado le stesse aziende producono dispositivi sia per le energie rinnovabili (per esempio le più grandi turbine eoliche del mondo) sia per l’energia nucleare, anche se ovviamente non ne fanno un motivo di vanto. Se fosse possibile costruire in modo infallibile e rapido sistemi energetici basati solo sulle fonti rinnovabili, non sarei certo qui a sostenere la necessità della costruzione di centrali nucleari. Ma sono convinto che nel futuro così come oggi ce lo figuriamo ciò non sarà possibile. E nel modo più assoluto non vorrei che diventassimo ostaggi di una soluzione temporanea, perché così i verdi tedeschi definiscono l’energia derivata dal gas naturale, il cui impatto sul clima è spesso molto sottovalutato. Rispetto al carbone, il gas naturale produce circa la metà delle emissioni di anidride carbonica durante il processo di combustione, ma solitamente le emissioni prodotte dalla sua estrazione e dal trasporto non vengono prese in considerazione. Nessuno si preoccupa nemmeno di misurarle. Il metano non è così pulito come potrebbe sembrare. D’altra parte, continuiamo a sfruttare vecchie centrali elettriche a carbone che, solo attraverso il loro normale funzionamento, hanno un effetto disastroso sia sull’ambiente che sulle persone. Il surriscaldamento climatico è la sfida più grande che dobbiamo affrontare. Dovremmo subordinare tutte le attività del settore energetico alla limitazione delle emissioni di gas serra, fornendo alle economie la quantità di energia necessaria al loro funzionamento”. (Copyright Gazeta Wyborcza/Lena-Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Dario Prola)